Giorgio Sernagiotto: “Sono un inguaribile ottimista, guardo sempre avanti” [INTERVISTA]
Sernagiotto fa il punto del suo 2018
In un panorama estremamente dinamico quale è il Motorsport – e che molto spesso risulta fin troppo asettico agli occhi del semplice spettatore – incontrare nel paddock Giorgio Sernagiotto è come respirare aria di montagna. Buona e pura. Non ci sarebbero probabilmente aggettivi più semplici per descrivere il trentasettenne di Asolo, che con la sua spontaneità ha saputo conquistare il pubblico di tutto il mondo. Perché se, tra le altre cose, partecipi a due edizioni della 24 Ore di Le Mans, un ricordo lo lasci in un modo o nell’altro. E senza dubbio l’altra sua qualità è il talento alla guida, con cui si è guadagnato il rispetto e la stima di colleghi ed avversari.
Lo abbiamo incontrato in occasione delle Finali Mondiali Ferrari presso il Monza Eni Circuit, dove era presente in qualità di driving coach per Manuela Gostner.
A Portimao hai portato a termine un doppio impegno, raccontaci come è stato.
Quando ho avuto la proposta da Kessel, tra l’altro proprio in equipaggio con Manuela che si trovava al suo debutto nel GT3, ho subito detto «sì!». Era una cosa che ho sempre sognato fare e che vedevo fare dai miei miti negli anni d’oro dell’automobilismo. Avvicinandosi il weekend avevo però sempre più paura e mi rendevo conto di aver forse esagerato! Il primo giorno di prove libere ho fatto tre turni con la LMP2 e due turni con la GT3, tutti incastrati e senza pause per riposarmi. È stato molto difficile perché lo stile di guida è veramente molto diverso.
Il Circuito di Portimao è poi molto particolare, capita di dover procedere più ad istinto che a riferimenti visivi. Però il Mercoledì avevo chiuso positivamente a livello prestazionale. Con la Ferrari 488 GT3 avevo addirittura girato a tre decimi e mezzo da Giacomo Piccini (pilota Ferrari Kessel, ndr). Per essere la mia prima volta in questa categoria ero particolarmente contento.
Poi con la Dallara-Gibson P217 del Cetilar Villorba Corse ho fatto il miglior tempo, nonché quinto miglior crono durante i test per la categoria LMP2. Quindi dentro di me pensavo: «Beh dai, forse ne è valsa la pena!». Venerdì e Sabato non sono riuscito a girare con la Ferrari a causa della pioggia e di una bandiera rossa, dunque ho potuto rifiatare in vista della Domenica. E qui è stato difficile: con la Ferrari GT3 ho gareggiato sulla difensiva per giocare di squadra e fare da scudiero. Invece con la Dallara LMP2 sono salito a gara già cominciata ed i primi due giri sono stati per me davvero molto complessi. Sfortunatamente abbiamo subìto un problema tecnico alla ruota anteriore destra e non ho potuto esprimermi al meglio delle possibilità. Risolto il problema sono ripartito ma per noi la corsa si era conclusa lì.
Se oggi lo rifacessi avrei sicuramente qualche skill in più e soffrirei meno, l’inizio è stato abbastanza shockante!
Escludendo pochi piloti attuali, ad esempio Fernando Alonso, oggi per un pilota è possibile fare con più frequenza quello che tu hai fatto? Oppure è un qualcosa che appartiene al passato?
La verità è che i budget per correre oggi sono importantissimi. Succede che le squadre stesse, dovendosi impegnare con un pilota, scelgono quello che è più libero sotto vari aspetti. E quello commerciale, o di coaching, oggi è importante quasi tanto quanto la velocità in pista. Quindi si scelgono piloti che riescono a correre e seguire al contempo i propri compagni di squadra meno esperti.
Guardando all’aspetto tecnico della cosa si può invece fare. Anzi, si creerebbe una generazione di piloti ancora più completi ed ancora più eclettici. Un concetto che a me piace molto se applicato al Motorsport. Anche fisicamente non è un problema, facciamo un esempio: nella European Le Mans Series vi sono molti tempi morti dal momento che le prove libere, il Venerdì ed il Sabato, durano mezz’ora. In gara la Domenica si può soffrire un po’ di più, ma al giorno d’oggi siamo preparati grazie ad allenamenti specifici.
In conclusione trovo molto difficile correre in due serie contemporaneamente, per il motivo che noi piloti – inteso di questa generazione – non siamo mai stati abituati a farlo.
Con Cetilar Villorba Corse è stata una stagione complicata, soprattutto perché avete sostituito “in corsa” Andrea Belicchi con Felipe Nasr. Ci sono state delle difficoltà come squadra?
Non c’è stata alcuna difficoltà con Nasr, anzi, è nata una bella amicizia ed un grande rispetto tra noi due. È veramente un ottimo pilota e con le esperienze nell’Endurance americana, dove corre con prototipi Cadillac, ha portato un grande know-how all’interno del nostro Team. La stagione è stata in chiaroscuro: ci sono state cose estremamente positive ed altre estremamente negative.
Tra quelle positive metto la mia personale performance durante l’anno, che ha sorpreso anche me stesso. Il fatto che arrivasse anche Felipe per me era come un esame, forse il primo vero di tutta la mia carriera. Ho avuto la possibilità di confrontarmi ad armi pari con un pilota che reputo tra i migliori al Mondo attualmente. E direi che ne sono uscito piuttosto bene dal confronto! Nasr stesso lo ha riconosciuto e mi ha anche proposto di spostarmi negli Stati Uniti, dove avrebbero bisogno di piloti come me. Sono stato molto contento di tali parole.
Nonostante in squadra ci siano stati dei momenti un po’ troppo frizzanti, insieme a Felipe e Roberto Lacorte abbiamo creato subito un bel gruppo ed abbiamo retto al colpo dopo l’uscita di Andrea, che è anche uno dei miei migliori amici. Il suo stop lo abbiamo sofferto molto. Altra cosa positiva è che nell’ultimo appuntamento dell’ELMS abbiamo trovato la prestazione che cercavamo da inizio stagione, facendo anche dei cambiamenti interni alla nostra squadra nel reparto tecnici.
Passando alle cose negative, direi che abbiamo forse un po’ lasciato al caso certe scelte, quando potevamo essere più incisivi. Il telaio Dallara non è così sbagliato come tutti crediamo, probabilmente non abbiamo trovato la vera strada per la messa a punto della vettura. Sicuramente Oreca ha ancora qualche vantaggio, ma il gap è colmabile. Personalmente sono un inguaribile ottimista e per la prossima stagione sono molto positivo: ho visto grandi potenzialità nel telaio Dallara e nel nostro pilota Bronze (Lacorte, ndr), che va davvero forte! Ci sono sicuramente alcuni aspetti che si possono perfezionare, ma le basi sono più che buone.
Già la Domenica sera, concluso il weekend di Portimao, ci siamo messi a lavorare sul 2019. Il rapporto con Dallara è molto stretto e vedere un binomio italiano all’opera è senza dubbio qualcosa di eccezionale.
Il punto più brutto della tua stagione è stato forse a Le Mans, con quell’incidente durante la fase di qualifica della 24 Ore. Come ti ha segnato?
Per me quell’incidente si è concluso probabilmente a Portimao. A volte capitano incidenti così grossi per un problema tecnico e quello che un pilota prova è la mancanza di sicurezze. Ovvero: se io avessi fatto un errore in una curva o in situazioni di asfalto bagnato, lo avrei comunque riconosciuto e accettato. Ma avrei subito guardato avanti. Quando invece capita qualcosa di così imprevedibile ed incontrollabile, allora i dubbi ti assalgono.
Sulle motivazioni che ti spingono a correre, sulla fiducia nel Team e nel mezzo meccanico in generale. Si fa veramente molta fatica a combattere questa situazione da un punto di vista mentale, e non voglio nascondere che, ancora oggi, se percepisco una vibrazione simile a quella sentita poco prima dell’incidente, i ricordi riaffiorano. Probabilmente, chiamando in causa la statistica, una cosa così potrebbe ricapitarmi tra almeno 25 anni, ma è impossibile non pensarci.
È stato decisamente il mio momento peggiore. Ho totale fiducia nei ragazzi all’interno della squadra di Cetilar Villorba Corse, ma l’inconscio non ha ancora fatto pace. Però sono sicuro che questi mesi di pausa mi saranno d’aiuto.
Ritorniamo al presente, ossia qui alle Finali Mondiali Ferrari. Che atmosfera si respira qui a Monza?
Quando Ferrari organizza certi eventi è la numero uno incontrastata. La passione che trasmette è vera e reale. Io le ho fatte per cinque anni e, tra l’altro, seppur partito per due o tre edizioni nelle prime file, ne ho vinta soltanto una. Essendo appunto delle Finali, nessuno si risparmia. Ed io stesso sono finito in alcuni incidenti, sbagliando, toccando gli altri avversari. È bello il fatto che chiunque possa rifarsi di una stagione negativa in un weekend, ed allo stesso tempo si concludono anche i Campionati dei vari continenti.
Qui con Manuela Gostner abbiamo raggiunto un ottimo obiettivo che è il terzo posto nel Campionato Europeo Shell, che per una ragazza al suo terzo anno di gare vuol dire davvero molto. Arrivava da un altro sport, che era la pallavolo, dunque non ha mai svolto il percorso del normale pilota sin dai kart. Come coach per me è stata un’enorme soddisfazione.
La figura del Driving Coach è qualcosa di molto recente. Di cosa si tratta e come funziona?
È da una decina d’anni, o forse meno, che viene riconosciuto questo ruolo. Io ho cominciato nel 2009, mentre disputavo alcune gare come pilota, ed ora sono all’incirca alla mia decima stagione. È una figura fondamentale più che in altri sport, e non lo dico per caso.
Facciamo un esempio: far evitare un incidente ad un pilota con poca esperienza, indicandogli il giusto punto di frenata ad inizio gara – quando le gomme sono ancora fredde – ha un risultato molto più ampio di quello che può fare un coach in un altro sport. Anche perché penso che nel calcio o simili sia abbastanza difficile fare danni per svariate migliaia di euro in pochi secondi! Ritengo che tutti i debuttanti nel Motorsport, i cosiddetti rookie, dovrebbero avere necessariamente un coach al loro fianco.
Con Roberto Lacorte ho cominciato a lavorare nel 2012. Lui proveniva dalla barca a vela e non aveva mai messo piede in una vettura da corsa. Ora è in LMP2 e gira a due secondi e mezzo da Felipe Nasr. Ma anche Manuela e Corinna Gostner mi stanno dando grandissime soddisfazioni. Forse a differenza di altri miei colleghi io applico anche l’aspetto psicologico, avendolo sofferto molto da pilota, e cerco spesso di prevenire quelle che saranno le loro esperienze e le loro sensazioni.
Questo funziona quasi sempre e per loro è un grande sollievo, perché sanno di non essere i soli ad aver affrontato tali problemi. Lavorare one-to-one con un pilota sul lungo termine è per me una grande soddisfazione.
Crediti Immagini: Cetilar Villorba Corse
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