Lamborghini, Caldarelli: “LMDh? Una novità in parte. Mi piacerebbe un equipaggio italiano”

L'intervista al pilota italiano

Andrea Caldarelli è uno dei piloti più veloci e apprezzati del panorama GT, ufficiale Lamborghini e l'unico - insieme a Mirko Bortolotti - ad essere ufficializzato dalla Casa di Sant'Agata Bolognese per il programma LMDh. Abbiamo chiaccherato con lui in occasione della 24 Ore di Spa.
Lamborghini, Caldarelli: “LMDh? Una novità in parte. Mi piacerebbe un equipaggio italiano”

Alla 24 Ore di Spa non c’è solo stato modo di assistere a un weekend ricco e combattuto nel contesto del Fanatec GT World Challenge Europe Powered by AWS, ma anche quello di discutere dei nuovi prototipi LMDh per l’IMSA WeatherTech SportsCar Championship e il FIA World Endurance Championship. Ci siamo intrufolati negli ambienti di Lamborghini e, assieme ad altri tre colleghi giornalisti italiani, abbiamo discusso faccia a faccia con Andrea Caldarelli, pilota ufficiale della Casa di Sant’Agata Bolognese.

La nuova avventura in LMDh con Lamborghini

Per Caldarelli, l’avventura con la Lamborghini LMDh sarà «una novità in parte. Nel 2012 e nel 2013 ho partecipato con Toyota come test driver al programma LMP1, ma le cose sono cambiate molto. Soprattutto dopo i miei otto anni in Giappone nel Super GT, la cui guida si avvicina molto a quella di un prototipo, anzi… Rispetto alle attuali LMP2 erano più veloci. Però, a livello di stile di guida è molto simile e pian piano mi riabituerò a spolverare quella particolare tecnica».

«Sappiamo di avere una deadline e che dobbiamo riuscire a rispettarla, così come sappiamo che buttare via l’inizio del 2024 significa verosimilmente avere un anno di tempo per sviluppare una macchina da zero. Naturalmente, se ci fosse stata la possibilità di avere quattro anni avrei messo la firma, ma credo nessuno nel motorsport ha questo vantaggio. Secondo me è il tempo è giusto, saremo sicuramente limitati in alcune scelte non fondamentali come, ad esempio, il cockpit della macchina».

«La filosofia di Lamborghini è sempre stata la stessa anche quando abbiamo iniziato in GT3. C’erano tanti costruttori e noi arrivavamo con una macchina che non aveva avuto tanti sviluppi perché, ai tempi era successa la stessa cosa, [del FIA WEC, ovvero la nascita di una nuova classe ndr]. Lamborghini lavorerà per vincere, questo sarà il nostro approccio».

Ancora nessuna conferma sul resto del programma LMDh

Non potevamo non chiedere se ci sarà un programma LMP2 nei prossimi anni, per familiarizzare con i prototipi: «C’è in programma sicuramente qualcosa del genere, ci stiamo lavorando ma non ho ancora idea di quando, dove e con chi».

Al momento, solo Caldarelli e Mirko Bortolotti sono stati annunciati come piloti ufficiali del programma LMDh, mentre per il resto si sa poco o nulla: «Non è ancora definitivo. Avremo in programma di fare sicuramente i due campionati [IMSA e FIA WEC], ma team e piloti sono ancora da decidere. Mi piacerebbe fare un equipaggio tutto italiano».

E ci sarà spazio anche per correre nelle competizioni GT? «Continuerò a farlo, è una categoria che mi ha dato molto. Mi ha divertito e mi sto divertendo, sicuramente non l’abbandonerò».

Le differenze tra il GT americano ed europeo

Ovviamente, alla vigilia della 24 Ore di Spa, c’è anche molta curiosità per i due anni spesi Oltreoceano, nel Fanatec GT World Challenge America Powered by AWS: «In America ci siamo preparati molto questi due anni. Il modello delle gare rispetto a una 24 ore è molto diverso, soprattutto delle gare sprint in America. L’unica cosa che siamo riusciti a preparare, piuttosto del set-up della macchina, sono le procedure con il team e son contento che alla fine siamo arrivati qui ed essere competitivi sin dall’inizio. Sicuramente Lamborghini Squadra Corse ci ha supportato molto perché il team è un ibrido tra K-PAX e personale della Squadra Corse. Eravamo un po’ spaventati all’inizio con due soli giorni di test a giugno, però onestamente fino ad adesso è andato secondo i piani».

«Il metodo di lavoro quando cambi dal Giappone, all’America e all’Europa: le culture, i team e le gare sono molto diversi, soprattutto l’approccio come pilota. È stato un percorso non forzato, ho chiesto di correre in America alla fine del 2020. Avendo fatto tanto in Europa e in Giappone volevo mettermi in discussione in un altro mondo e mi piace capire come i team funzionano e i loro metodi di lavoro, cercare di prendere il meglio di ogni cultura. Per mettere insieme un team è importante capire come le persone lavorano. Questo è stato l’input per il percorso americano e la parte più difficile all’inizio è l’approccio alle gare… Non relax, ma in Europa anche la prova libera è subito a “cannone”. In America hanno un approccio più metodico, senza avere l’urgenza di mettere la macchina davanti dall’inizio».

Queste differenze “culturali” hanno portato a una metodologia di lavoro ibrida alla 24 Ore di Spa: «Un esempio molto tecnico che mi viene in mente subito è la preparazione delle gomme. Abbiamo speso questi due anni per cercare il metodo di avere le gomme sempre alla stessa temperatura e con le stesse pressioni. È fondamentale con questo tipo di pneumatici, soprattutto quest’anno con questa struttura nuova. Anche 10 gradi di differenza quando escono dal forno o meno fanno tanta differenza. Credo che abbiamo trovato un sistema che funziona, con un ottimo feedback molto costante, e su questo ci abbiamo lavorato molto. Abbiamo anche molte persone a disposizione perché in America, rispetto a un team europeo, abbiamo circa un 30% in meno – in America siamo una trentina per due macchine, qui sempre trenta ma per una. È una cosa positiva, ma allo stesso tempo è molto pericolosa perché si crea molta confusione. […] Ci tengono molto ad avere un team organizzato e strutturato, con un organigramma preciso dove molto spesso, anche nei team italiani, si perde di vista».

Infine, anche un excursus sulla veste – momentaneamente risposta in un angolo – di team manager: «Mi manca in parte. Nella veste di team manager e pilota, l’importante è che quando salgo in macchina non penso più a ciò che succede intorno a me. Dal semplice gesto di sedersi in macchina, accendere la vettura e avere di fronte a te il meccanico che, magari, la settimana prima aveva avuto dei problemi… Fino a che riuscivo a fare quello era tutto a posto, poi le cose si sono ingrandite molto dopo aver vinto nel 2019 – il team e la struttura – e quindi è sempre stato più difficile. Adesso son contento di salire in macchina e di pensare solo a quello, però allo stesso tempo devo essere onesto che quel brivido di fare entrambe le cose un po’ mi manca».

Copyright foto: K-PAX Racing

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