Dakar | Nani Roma salva la spedizione Mini. Sorprende Przygonski
I commenti e i bilanci dopo la Dakar 2019
Le premesse erano ben altre: sei vetture Mini schierate, un equipaggio che globalmente poteva contare su più di venti titoli nella Dakar, e il dream team dei veterani a bordo dei buggy, sempre per il team X-Raid. Alla fine invece questi ultimi mezzi, sui quali sembrava tarata l’edizione 2019, hanno un po’ deluso, mentre la posizione più elevata nella classifica finale l’ha conquistata una versione rally 4×4 del Mini John Cooper Works, con a bordo l’equipaggio formato da Nani Roma ed Alex Haro.
I piloti Mini nella top ten della Dakar 2019
I due hanno infatti chiuso la loro avventura al secondo posto della generale, vinta senza troppe sorprese da Nasser Al-Attiyah e dai temibili avversari di Toyota, con un ritardo di 46 minuti e 42 secondi. Se non altro, nella top ten conclusiva compaiono altri quattro equipaggi Mini: oltre a Roma ed Haro troviamo anche Jakub Kuba Przygonski e Tom Colsoul, al quarto posto dopo aver chiuso al quinto nella tappa finale, da Pisco a Lima, ed alcuni risultati davvero buoni per i due veterani della Dakar che ottengono il loro miglior risultato nella generale nello storico delle loro partecipazioni (e ben quattro podi di tappa quest’anno). Non solo: c’è comunque uno spazio anche per i bistrattati buggy, con il quinto posto di Cyril Despres e Jean Paul Cottret, sventurati in questa edizione tra le dune peruviane e l’infido fesh fesh. Il francese cinque volte vincitore della Dakar con le moto deve rimandare ancora una volta il trionfo con le quattro ruote.
Buon risultato anche per la Yazeed Al-Rajhi e Timo Gottschalk, settimi dopo essersi piazzati due volte, all’inizio delle competizione, in top 5 generale. I due sono seguiti poi da Boris Garafulic con Filipe Palmeiro, anche loro a bordo del Mini Rally a trazione integrale.
Le difficoltà di Peterhansel e Sainz e l’omaggio di Carlos Jr
Tutto più o meno bene insomma? Più o meno, appunto, perché sono mancati gli acuti di due favoriti della vigilia, ovvero Carlos Sainz e Stéphan Peterhansel, entrambi sui buggy Mini. Il primo vince sì la tappa 10, ma dopo un percorso che definire estenuante è usare un eufemismo: partito alla grandissima con il navigatore Lucas Cruz con un secondo posto pronti-via nella prima tappa, l’iberico si è poi perso per strada lungo il tracciato di circa 5.000 km di cui 3.000 di velocità , con tanto di precipizio in classifica arrivando 65esimo in tappa 3 (e conseguenti lamentele per le inesattezze del roadbook di quest’anno), aggiustando poi un po’ la rotta tra la frazione 6 e 7 con un terzo posto ma rimanendo comunque sempre ai margini della contesa. Chiuderà alla fine tredicesimo a quasi dieci ore di ritardo.
In ogni caso, Sainz ha dimostrato una tempra da fuoriclasse, come ha scritto sui social il figlio, Carlos Jr (che vedremo quest’anno con McLaren nella F1): «Poteva ritirarsi lo scorso anno dopo aver vinto la Dakar – scrive il rampollo – poteva abbandonare quest’anno in tre occasioni (problemi al servosterzo, dolori cervicali…) ma ha continuato e alla fine ha vinto l’ultima tappa. Perchè? Perché ama correre e ha un bel paio di attributi. Ottimo lavoro papà !».
È andata decisamente peggio a Mr.Dakar, ovvero quel Peterhansel tredici volte campione del rally raid, costretto al ritiro nella nona tappa dopo una avventura tra luci (due vittorie di tappa, in alcune occasioni alle calcagna di Al-Attiyah nella generale) ed ombre.
Le dichiarazioni dopo la Dakar 2019
Luci ed ombre che hanno caratterizzato la spedizione Mini in una edizione, riconosce l’amministratore delegato di X-Raid Sven Quandt, «difficile dove ha vinto il pilota che non ha commesso errori». Congratulandosi con Al-Attiyah, Quandt aggiunge che anche Nani Roma non ha sbagliato nulla svolgendo un ottimo lavoro, e prosegue: «Non era certo uno dei favoriti, ma il secondo posto è magnifico». Inoltre rimarca la prestazione di Przygonski, che «molti hanno sottovalutato, quando invece ha smentito tutti con un quarto posto». Il polacco dal canto suo è lieto di aver concluso la Dakar dopo dieci giorni «davvero duri», in particolare, rivela, gli ultimi tre. «Il nostro tempo di gara è stato perfetto e siamo felici di aver tenuto il passo delle vetture e piloti ufficiali con la nostra auto normale. Siamo un team giovane [Orlen X-Raid, ndr] ma possiamo diventare comunque avversari dei piloti più forti e leggendari».
Nani Roma è felice del suo secondo posto, riconoscendo a mente fredda di aver condotto assieme ad Haro una «buona strategia lungo l’intera gara». E afferma: «Vogliamo ringraziare tutto il team, non solo i miei meccanici ed ingegneri ma tutta X-Team». C’è comunque una cosa su cui tutti sono d’accordo, ovvero la difficoltà ed imprevedibilità di quest’anno (lo stesso Roma ce ne parlò in una intervista che ci rilasciò alla vigilia della Dakar): come rimarca Quandt, si è trattata di una edizione dura «come ci saremmo aspettati d’altronde, con molta sabbia e dune», a cui poi si sono aggiunte le «difficoltà tecniche che non ci hanno aiutato», come concorda Cyril Despres, che dopo un primo giorno tranquillo, dice, ha dovuto affrontare «nove giorni di sofferenza». E rilancia: «Sapevamo fosse dura ma quest’anno lo è stata ancora di più. Non basta soltanto guidare ed avere esperienza: no, devi essere anche fortunato […] Corro ancora per passione ma questa Dakar non mi ha divertito per molti giorni o ore». Anche Al-Rajhi rivela di aver dovuto affrontare molti problemi, ma alla fine ce l’hanno fatta per il settimo posto, cosa che spinge l’equipaggio a sperare per un risultato migliore il prossimo anno. Infine Sainz ripercorre le difficoltà della terza tappa, ma quello che bisogna fare alla fine era proseguire comunque, afferma. «Abbiamo avuto qualche piccolo problema, che ci è costato molto tempo, ma abbiamo imparato cose che ci serviranno per migliorare in futuro». Chiosa Quandt: «Avere cinque Mini nella top ten dimostra quanto possano essere affidabili». Ma sui buggy c’è ancora da lavorare.
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