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“Nel WRC non basta chi vince, serve anche chi conquisti il pubblico”: perché Sulayem ha ragione

Da quando è diventato presidente FIA ereditando lo scranno di Jean Todt, Mohammed Ben Sulayem non è stato certo parco di dichiarazioni sul rally ed in particolare sul WRC. Punti di vista suffragati dal fatto che anche l’emiro ha un passato nella disciplina come il suo predecessore, anche se rispetto a quest’ultimo vanta ben 14 titoli nel MERC, il campionato rally del Medio Oriente.

Sulayem di recente ha indicato le linee direttrici del WRC, ovvero una maggiore attenzione ai costi ed attirare più costruttori, evidentemente non estremamente convinti delle nuove Rally1 ibride visto che per il nuovo corso tecnologico che si apre quest’anno hanno aderito solo in tre realtà, che erano le stesse in gara negli ultimi tempi (Toyota Gazoo Racing, Ford con M-Sport e Hyundai Motorsport).

“Nel WRC c’è bisogno di star, capaci di attirare le persone”

Ma c’è un altro aspetto che secondo il neopresidente FIA bisogna curare per rilanciare il Mondiale Rally, e riguarda direttamente i protagonisti che salgono a bordo delle vetture. A Colin Clark di DirtFish Sulayem ha espresso un concetto lapidario: «C’è bisogno di star, non semplicemente di vincitori. Ci sono vincitori di un campionato e ci sono i campioni. Ciò che voglio dire che ci sono persone che hanno vinto tante volte, ma hai bisogno di uno che ci sappia fare con i media. Hai bisogno di qualcuno che colpisca le persone, che impari velocemente a stare davanti alla telecamera e che riesca ad attirare quanta più gente possibile».

Sulayem non ha per niente torto: il motorsport è anche un affare mediatico, e se è vero che c’è gente con la testa girata verso un passato fatto di Gruppo B, motori eccessivi e sin troppo prestanti e nessuna copertura televisiva, il presente ed il futuro vanno verso un WRC sostenibile (facciamocene una ragione), che già da alcuni anni è possibile seguire prova speciale dopo prova speciale in diretta, grazie al servizio streaming WRC + All Live (felice intuizione del precedente amministratore delegato di WRC Promoter, Oliver Ciesla).

I piloti attuali e la loro presa mediatica

Quindi, gli spettatori di tutto il mondo potenzialmente non si perderebbero neanche un minuto del circo mondiale del rally, dietro le quinte incluse. A ciò aggiungiamo la presenza dei social, che rende i piloti più vicini ai loro fan senza filtri, anche se molti di loro si limitano all’essenziale. Effettivamente, abbiamo dei grandi protagonisti agli alti livelli del WRC contemporaneo ma, non ce ne vogliano, pochi di loro bucano davvero lo schermo, trasudano carisma o sono conosciuti al di fuori della cerchia degli appassionati.

Senza andare ai fasti di Carlos Sainz o dell’indimenticato Colin McRae, ma concentrandoci invece negli ultimi decenni dove la pervasività dei media e del web ha raggiunto l’apice, Sébastien Loeb forse è uno dei pochi casi di rallista noto almeno anche ai fan degli altri motorsport, e magari anche a qualcuno che non è proprio cultore della materia. Ma questo grazie ai nove titoli vinti, non certo perché parliamo di uno sportivo che con il suo carattere e personalità è riuscito ad andare oltre la sua nicchia. Non parliamo poi di Sébastien Ogier, che all’attivo ha un Mondiale in meno ma è ancora meno conosciuto, nonostante il valore delle sue imprese. Ott Tanak è famosissimo in Estonia, dove hanno prodotto pure un film sulla sua vita (sic!), ma parliamo di uno che ha rifiutato il premio di “Entertainer of the Year” nel suo Paese proprio perché si considera uno sportivo, non un personaggio mediatico che intrattiene il pubblico. Pregiudizio sbagliato, a nostro avviso.

Elfyn Evans negli ultimi due anni sta conoscendo una fase di crescita conquistando due titoli di vicecampione WRC e, come tutti i suoi colleghi, ha una carica umana che attira subito la simpatia altrui. Ma dei fan più accaniti e degli addetti ai lavori, gli unici che lo conoscono. Thierry Neuville combina una bella faccia da bravo ragazzo con un talento notevole, oltre a dedicarsi a progetti filantropici, ma anche qui purtroppo gode di una popolarità molto limitata. E possiamo continuare allo stesso modo con Craig Breen, Esapekka Lappi, Adrien Fourmaux e via dicendo. Il problema non è la popolarità tra i fan e gli appassionati, ma la capacità di andare oltre queste cerchie e trascinare il WRC nelle prime pagine dei siti e dei quotidiani sportivi, e non in qualche trafiletto poco prima dei risultati del cricket (con tutto il rispetto). Per non parlare della nostra situazione italiana, in cui da tempo non riusciamo ad esprimere un pilota a livelli mondiali (nonostante gli exploit di Umberto Scandola, Fabio Andolfi o Andrea Crugnola: ma sulla nostra realtà nazionale andrebbe fatto un discorso a parte con ben altri risvolti).

La responsabilità dei piloti: non solo vittorie, ma anche il peso mediatico

Neppure l’ingresso di nuove leve come Oliver Solberg, il più social di tutti, potrebbe contribuire a dare una svolta mediatica incisiva al campionato. Mancano davvero le star, ma non bisogna per forza importarle dalla F1 (vedi Kimi Raikkonen, Valtteri Bottas o Robert Kubica) come se il WRC fosse il parente disgraziato: certo, aiuta, ma al tempo stesso fornisce un alibi ai rallisti già presenti che continuerebbero a non risultare incisivi. Manca il personaggione che ci sappia fare con i media, manca il drama in un ambiente che a volte risulta uno stucchevole volemose bene, manca chi riesce ad essere trasversale e parlare ad un pubblico più vasto, non solo limitato al settore.

«Dobbiamo diffondere il fascino del nostro sport, e far capire che i piloti hanno anche una responsabilità: non solo quella di vincere prove speciali e rally, ma anche quella di conquistare le persone», ha concluso Sulayem. Difficile dargli torto.

Luca Santoro:
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