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Andrea Peterhansel vince con il marito Stephane l’Abu Dhabi Desert Challenge. “Ora la Dakar insieme”

385 FISCHER Annett (Ger); PETERHANSEL Andrea (Ger); Can-Am; Girlfordakar; Group SXS ASO/FI; Class SXS; portrait during the Dakar 2019; Start Podium; Podium de Depart; Peru; Lima; on january 6 - Photo Frederic Le Floc'h / DPPI

La scorsa settimana si è corso l’Abu Dhabi Desert Challenge, seconda tappa della Coppa del Mondo FIA Cross Country (che in questa stagione si separa dal format e dal calendario dei Baja, più limitati nei giorni e nel chilometraggio). Nel prestigioso e massacrante rally raid si è imposta una coppia particolare, formata da marito e moglie: parliamo di Stéphane ed Andrea Peterhansel, ovvero Mr.Dakar e la compagna nel ruolo di navigatrice. Ma le cose per quest’ultima non sono state semplicissime, come lei stessa ha ammesso.

La vittoria storica dei Peterhansel

L’edizione numero 29 dell’Abu Dhabi Desert Challenge è stata quindi dominata, dopo 286 km, dalla coppia a bordo del Mini John Cooper Works Rally, che per la prima volta nella storia delle competizioni motoristiche di un Mondiale targato FIA segna la vittoria di una coppia di coniugi. A pilotare il mezzo a trazione integrale ci ha pensato Stéphane, che in queste latitudini trionfò per cinque volte nell’UAE Desert Challenge (come si chiamava prima del 2009 la competizione rally raid) nella categoria Auto ed una con le moto, mentre le moglie, impegnata a dettare le note, ha ottenuto il primato nella categoria femminile come pilota tre volte, sempre all’Abu Dhabi. Questo senza dimenticare il ricco curriculum dei due in altre gare e serie raid, come la Dakar vinta da Stéphane tredici volte e in cui Andrea ha ottenuto una serie di importanti piazzamenti.

Il sogno della coppia, come rivelato dalla stessa metà femminile in una serie di dichiarazioni rilasciate al sito della FIA, è proprio quello di correre insieme la corsa che dal prossimo anno si sposterà in Arabia Saudita; sempre in questa intervista riportata sul website della Federazione Andrea Peterhansel spiega come è nata la sua passione per i rally raid ed il deserto, e perché sia stato difficoltoso stare nell’abitacolo come navigatrice.

La carriera di Andrea Peterhansel

Nei primi anni Novanta, spiega, ha mosso i primi passi nei rally raid desertici, seguendo la sua predilezione per questo tipo di location: «Ho passato sei mesi nel Sahara su una moto», racconta, «Avevo una vera passione per il deserto, e poi la velocità, quindi ho coniugato entrambe le cose, mi sono allenata duramente e ho fatto la mia prima Dakar nel 1996 da privata», tra l’altro gareggiando nella durissima classe del Malle Moto (o Camion Casse), dove il pilota non ha alcuna assistenza, se non appunto il camion fornito dagli organizzatori della Dakar con una cassa contenente alcuni ricambi, due gomme e gli effetti personali.

Non è poco quindi l’«orgoglio e la soddisfazione» di Andrea «per quello che ho raggiunto nei primi tempi da dilettante». E prosegue, affrontando anche la questione di genere: «È difficile per tutti e devi essere determinato. L’unico problema che ho avuto quando sono diventata una pro rider è che le moto di quei tempi erano fatte per i piloti più grossi, ed erano allora molto più pesanti, e dato che sono più piccola non riuscivo a raggiungere il terreno con entrambi i piedi. Questo era uno svantaggio, ma per il resto siamo tutti concorrenti e se parti per questo tipo di sfida, devi essere preparato. Non ha niente a che fare con l’essere uomo o donna».

In seguito Andrea Peterhansel ha corso da ufficiale con BMW, KTM per poi approdare alle auto con Mitsubishi Motors. Da quel momento la pilota non si è negata nulla, dalla top 5 nella Dakar 2004 al Desert Challenge su quad, oltre alle incursioni con i camion e, recentemente, l’inedito ruolo di copilota a fianco di Annett Fischer nei Side by Side alla Dakar di quest’anno, culminata con un quattordicesimo posto finale.

Le difficoltà nel ruolo di navigatrice per Andrea Peterhansel

Fare da navigatrice, però, rappresenta un cambio di paradigma non facile da digerire per la Peterhansel: «In moto hai il tragitto nella tua testa e ti limiti semplicemente ad agire – spiega – ma la difficoltà ora per me è di assicurarmi di poter riportare la mia interpretazione al pilota. Ho bisogno di dirgli cosa deve fare, con Stéphane ho anche bisogno di farlo in francese [lei è tedesca, ndr], e allo stesso tempo si va molto veloci. Quindi devi essere rapido, non puoi rallentare un po’ per vedere l’ambiente circostante, perché il conduttore sta andando al 100%. Questa è la grande sfida».

Sfida che alla Abu Dhabi Desert Challenge di quest’anno ha assunto contorni più ardui. Andrea infatti ha sofferto di una labirintite, il che rendeva più difficile stare dentro l’abitacolo. «Abbiamo dovuto posticipare il nostro debutto come coppia in gara perché stavo troppo male nell’auto: sono molto sensibile e sinché piloto io non ci sono problemi, ma quando detto le note, provo un disagio fisico. Ho seguito delle cure mediche per otto mesi per cercare di superare questo problema: ci è voluto molto sforzo ma sta funzionando», spiega la Peterhansel, che avrebbe potuto essere al fianco del marito nella Dakar di quest’anno, prima dell’ingaggio di quest’ultimo nel dream team Mini X-Raid (poi costretto al ritiro nella nona tappa).

Il problema di Andrea non è ancora del tutto svanito, come spiega lei stessa, «perché mi sentivo male di tanto in tanto», ma comunque «mai come prima […] Posso sentire il corpo adattarsi a ciò che chiedo e l’allenamento dell’orecchio interno sta funzionando. Si tratta di allenare il cervello per capire che leggere e muoversi al tempo stesso non è nulla di cui preoccuparsi».

Ora la mente di entrambi si rivolge alla Dakar 2020, per la prima volta in coppia. «Se ha funzionato qui, all’Abu Dhabi Desert Challenge, per noi potrà funzionare ovunque», aveva dichiarato al traguardo finale Andrea Peterhansel.


Luca Santoro:
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