Come si può definire la prima stagione della W Series, la prima serie monoposto riservata alle sole donne? Ripercorriamo assieme questo nuovo campionato, iniziato con le prime selezioni a gennaio e terminato solamente qualche settimana fa a Brands Hatch con la vittoria di Jamie Chadwick.
Il richiamo internazionale e il supporto del DTM
Oltre 50 candidature per la prima stagione del monomarca tutto “rosa” – che vede coinvolte le nuove Tatuus-Alfa Romeo T-318 – e soli 18 posti a disposizione: un richiamo davvero importante, dove moltissime hanno visto una chance per lanciarsi a un pubblico più vasto dei propri campionati nazionali. Dopo ben due selezioni (la prima a gennaio a Melk, in Austria, e la seconda a marzo in Almeria, Spagna) si è arrivati all’elenco che ha dato vita ai sei appuntamenti di quest’anno. La parola chiave è stata soprattutto la visibilità della serie, disponibile in streaming gratuito su Facebook e al fianco di un campionato di caratura continentale come il DTM. Non solo: gli organizzatori, puntando a organizzare un weekend di doppie gare piuttosto che relegare tutto in una unica manche, hanno provato una seconda corsa ad Assen non valida per la classifica, che ha comunque reso il tutto molto più interessante. Quasi scontato che il prossimo anno si passerà al classico format che tutte le serie monoposto hanno ormai adottato da decenni.
Le forze in campo: un divario troppo ampio
C’è forse un elemento un po’ spinoso di cui bisogna parlare: il livello delle forze in campo. Si è visto troppo divario tra le più esperte e veloci (la Chadwick, Beitske Visser), le inseguitrici (Alice Powell, Marta García, Emma Kimiläinen) e le restanti partecipanti. Già all’inizio si era capito che la lotta al titolo era riservata alla Chadwick e alla Visser: la prima ha all’attivo un successo nella Formula 3 britannica e ha un ruolo in Williams, mentre la seconda si è sempre mostrata all’altezza nelle formule minori ed è una junior BMW; il resto, invece, proviene dalle corse Gran Turismo o dalle serie nazionali o continentali ma con scarso successo, oltre al fatto che la Powell, la Kimiläinen e Vicky Piria non correvano full-time da anni e, quindi, disputando un anno a titolo gratuito. Sul finale si è visto quasi un pari bilanciamento, un segnale positivo per il 2020 e per il lavoro che si sta svolgendo dietro le quinte.
Defezioni importanti e critiche: difficile analisi dopo un solo anno
Purtroppo contano anche le assenze importanti e le critiche: Amna Al Qubaisi ha puntato sulla Formula 4 italiana con Prema; Sophia Flörsch ha preferito correre nella nuova Formula Regional, etichettando la W Series come puro marketing; Tatiana Calderon è impegnata nella Formula 2 con Arden ed è tester dell’Alfa Romeo; Pippa Mann e Simona de Silvestro hanno dichiarato che è un passo indietro per le donne, con la svizzera che suggeriva d’investire il montepremi di un milione e mezzo di dollari in un programma di crescita e sviluppo, nel pieno stile Red Bull. A ciò risponde comunque coi fatti la Chadwick, che potrà continuare la sua rosea carriera proprio col denaro conquistato grazie al titolo. Difficile dire dopo un solo anno se la W Series funzioni oppure no, ma resta il fatto che non tutte si sentano pienamente coinvolte.
La nuova monoposto: addestrativa o inutile?
Come già detto, la monoposto tutta italiana confezionata da Tatuus ha dato ottime impressioni in pista e agli addetti ai lavori, anche se sembra persistere il problema dei sorpassi (come a Zolder e a Misano, per fare due esempi). Ma era davvero necessaria una nuova vettura? La scelta è stata fatta per implementare il sistema Halo e per avere una lunga continuità in futuro, ma per una serie che vede impegnate poche vetture (18 è comunque un numero discreto, anche se poi son diventate 20) potevano, forse, anche bastare le vecchie monoposto Dallara della defunta Formula 3 europea, che hanno allenato diversi piloti ormai in Formula 1 o in Formula 2. Una scelta economica e anche con maggior appeal, oltre al fatto che Hitech GP – team che si occupava della gestione tecnica – conosceva ampiamente le vetture.
Tra qualche dubbio, positivo il primo anno
Non tutto è da buttare, comunque: le quote rosa hanno avuto maggior visibilità con un proprio campionato e molte donne si sono avvicinate al motorsport, così come la coscienza degli appassionati di vecchia data verso un motorsport non più a esclusività maschile ma eterogeneo. Come si vuol dire: buona la prima!