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Tissot presenta la nuova collezione V8 inspirata al mondo delle corse

Il legame di Tissot con il mondo del Motorsport è una storia ormai decennale, fatta di grandi campioni e corse indimenticati, che si snoda dagli anni’60 fino a oggi: nel 1966 per la prima volta il logo di una creazione della casa orologera svizzera, quello del PR516, spiccò sulla vettura del pilota peruviano Henry Braedly. Nel 1976 Tissot decise di fare il grande salto in Formula 1 scegliendo il giovane pilota svizzero Loris Kessel, già affermato in Formula 3 e in Formula 2, come brand Ambassador. Kessel partecipò a cinque Gran Premi di Formula 1 con una Brabham BT44, motore Cosworth-V8, e gareggiò nei colori del team inglese RAM. Il legame durò anche gli anni successivi con piloti del calibro di Jacky Ickx e Clay Regazzoni. L’associazione tra il mondo della corse e quello degli orologi ad alta precisione è facile grazie a valori comuni quali precisione, innovazione e tecnologia: forte di questo legame evidente Tissot creò nel 1976 il primo modello di orologio con display digitale, lo Stratos, firmato dal designer di automobili Bertone. Due anni più tardi per celebrare la nuova partnership con l’Equipe Renault e i suoi piloti Jean-Pierre Jabouille e René Arnoux, ne realizzò diverse versioni di grande successo. Nel 1979 Tissot intensificò la propria attività in Formula 1 e diventò lo sponsor del team Lotus fino al 1982, accompagnando piloti del calibro di Mario Andretti, Carlos Alberto Reutemann, Elio De Angelis e Nigel Mansell, con il logo Tissot Quartz che spiccava sulla carrozzeria delle Lotus Mark 79 e la Mark 80-Cosworth. Nel 1994 Tissot tornò in Formula 1 con il team Sauber, prima di fare il grande salto oltreoceano per la formula Indy e per la NASCAR diventando Cronometrista Ufficiale e Produttore dell’orologio omonimo. L’affascinante storia tra la Casa svizzera leader nel settore dell’orologeria arriva fino ai giorni nostri, con la presentazione nel raffinato ambiente dei saloni di Loris Kessel Auto della nuova collezione V8 ispirata al mondo delle corse automobilistiche. Il luogo non è stato scelto per puro caso ma testimonia una partnership che si rinnova 40 anni dopo, Kessel Racing e Kessel Classic, nelle gare storiche, animata da valori comuni quali passione, tecnologia, talento umano e ricerca. Si tra di tre audaci cronografi i cui contatori sono ispirati ai cruscotti e i dettagli rossi e gialli sui quadranti richiamano i numeri sul cambio marcia. In questa occasione abbiamo incontrato Ronnie Kessel (nella foto insieme a Alex Caffi, pilota della Kessel Racing), il figlio 29enne del compianto Loris Kessel, che ha preso in mano l’azienda a soli 22 anni dopo la prematura scomparsa del padre: oggi la Kessel SA è una realtà con circa 100 dipendenti, che guarda al futuro avendo però solide radici nella tradizione. E’ composta da tante anime, dalla Kessel Racing, che partecipa ai campionati automobilistici sia GT che classic, Kessel Classic che si occupa di restauro d’auto d’epoca, avvalendosi ancora di tecniche tradizionali ed è restauratore ufficiale Ferrari, l’officina, la parte commerciale, con la vendita e il noleggio di auto di lusso, e la parte eventi per clienti privati. Come ti definiresti? imprenditore, pilota, appassionato? “Sicuramente appassionato, penso che la passione si quello che accumuna le persone in qualsiasi ambito, possa essere automobilistico, orologero, ecc… E’ la nostra linea guida, quello che ci porta a fare o a non fare determinate cose, e probabilmente è quello che mio padre con un po’ di lungimiranza è riuscito a far nascere in me. Non mi ha mai sforzato a fare quello che faceva lui, nonostante fosse un pilota di Formula 1 e a suo tempo un imprenditore, mi ha sempre lasciato spazio per seguire le mie passioni, e alla fine si sono ricongiunte. In quel momento sicuramente era l’uomo più felice del mondo, ma quello che mi muove è la passione, diversamente non riusciremmo a creare quel commitment che invece abbiamo nel nostro lavoro, cercando di ottenere l’eccellenza in tutto. C’era un vecchio ingegnere Ferrari che una volta mi disse “Sai Ronnie, nella vita perseverare è diabolico” ed è una cosa che io ancora porto con me. E penso che lui abbia ragione: l’eccellenza la riesci a ottenere solo tramite la passione e questo è un punto fondamentale”. Tu sei un ragazzo molto giovane che vive una realtà che ha una forte storia e tradizione, quanto ti senti “calato” in questa realtà e quanto la senti tua? “La premessa che posso fare è che mio padre ci ha lasciato un terreno spianato, parlo al plurale perché il primo successo che abbiamo avuto, quello di vincere un passaggio intergenerazionale, l’abbiamo avuto grazie a un gruppo coeso e compatto di persone, alle quali mio padre ha dato tanto e da cui ha ricevuto tanto, e a cui nel momento del bisogno ha chiesto di darmi un aiuto concreto. Il terreno era sicuramente spianato ma noi abbiamo preso una scelta che era quella non semplicemente di mantenere ma di sviluppare, e questo è un discorso venuto dopo. Kessel Classic è venuto dopo la dipartita di mio padre, la decisione di correre un rally storico, di creare un vero e proprio reparto storico, di crescere con la squadra corse fino a vincere campionati e gare di prestigio come quest’anno la 24ore di SPA o quella di Le Mans, sono tutti progetti nati successivamente. E questo conferma che tutto quello che abbiamo creato in più è per volontà e non perché ce lo siamo sentiti imposto”. In un modo dell’auto che sta cambiando, quali sono le tue idee, i tuoi progetti per il futuro, la tua visione? “La forza di un’azienda come la nostra penso che nel futuro la si vedrà proprio nella diversificazione e nella specializzazione. La prima perché non sappiamo ancora quale sarà lo scenario economico, sociale e culturale con cui ci confronteremo. Ad esempio fino a tre anni fa ci confrontavamo con il motore a combustione e ora siamo in piena era dell’ibrido: questo mondo evolve molto quindi al fine di garantire la crescita dell’azienda per me è importante diversificare. D’altra parte è una scelta strategica parlare di specializzazione perché se non riesci a distinguerti tra tutti quelli che fanno questo lavoro diventa difficile ottenere determinati risultati. E questo alla fine lo fai attraverso la valorizzazione del lavoro umano, e questo è un punto molto importante: un’azienda è fatta di persone che devono essere portate a remare nella stessa direzione”. Qual è il tuo rapporto con il tempo? il tuo lavoro è fatto di millesimi, per la parte racing, e di mesi per restaurare un’auto d’epoca, come vivi questi due aspetti? “Il mio rapporto con il tempo è molto bello anche se mi ci devo sempre confrontare: in gara dobbiamo essere i più veloci al pit stop e dobbiamo mettere insieme il maggior numero di giri veloci per vincere una gara. D’altra parte in azienda abbiamo dei tempi imposti dalla casa madre per gli interventi, ed è un tempo che ci viene imposto ed è normale. Quello che non ci viene imposto è il tempo profuso per fare la nostra attività ed è un tempo molto bello, perché a volte le giornate passano senza ce ne accorgiamo. Fa strano pensare che siamo quasi nel 2017 e io nel 2010 ho dovuto prendere in mano questa realtà: il tempo è veramente volato”.

Michela Alitta:
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