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IndyCar | Pocono e l’incidente di domenica: perché non è colpa dell’ovale?

L’ultima gara della IndyCar Series a Pocono rilancia Will Power in campionato, ma l’attenzione è finita sul grave incidente al 1° giro che ha visto coinvolti Takuma Sato, Alexander Rossi, Ryan Hunter-Reay, Felix Rosenqvist e Jamie Hinchcliffe. Il tri-ovale è di nuovo sotto accusa dopo l’episodio di Robert Wickens dello scorso anno, ma la domanda è lecita farsela: è proprio colpa del tracciato?

Tutta colpa di Sato a Pocono?

Partiamo con il fatto di domenica: subito dopo lo start, il gruppone si dirigeva verso curva 2. Rossi si è trovato in un three-wide – che, ricordiamo per i non intenditori, una situazione di tre vetture affiancate e sempre segnalata dagli spotter dei piloti – con Sato all’esterno e Hunter-Reay all’interno; ricordiamo che è facile ritrovarsi in ciò sull’ovale di Long Pond, dove è già capitato anche di ritrovarsi in quattro o, addirittura, in cinque. Comunque, il giapponese sembrerebbe aver sterzato verso l’interno, coinvolgendo tutti i piloti citati e mettendo in una brutta situazione proprio Rosenqvist, che è finito contro le catchfence esterne.

Subito è partita la caccia al colpevole, rintracciato nella figura di Sato: è lui che ha stretto il trio mettendolo in pericolo. «Non riesco a capire come Takuma pensi che quel tipo di guida sia accettabile dopo l’anno scorso», ha sbottato Rossi in diretta a NBCSN, subito fuori dal centro medico. Poi è arrivato Sato che, su Twitter, si è scusato per l’incidente, ma pubblicando degli screenshot dove mostra di aver mantenuto la traiettoria e che proprio Rossi ha alzato la sua linea di percorrenza. Dopo un lungo battibecco, è pure spuntato l’onboard del nipponico che conferma ciò che ha detto: ha mantenuto la linea, seppur si vede un leggerissimo spostamento all’interno, riconducibile alla difficile guida sugli ovali fatta di alta velocità, vibrazioni e attenzione alle monoposto che corrono attorno.

Pocono sotto accusa: ma è davvero così colpevole?

Dopo ciò, è partito un attacco verso Pocono, scattato poi da Wickens: il canadese è finito su una sedia a rotelle a causa del botto dello scorso anno con Hunter-Reay e, attualmente, sta percorrendo una lunga via verso la guarigione, perlomeno per ricominciare a camminare. «Quante volte dobbiamo rivivere la stessa situazione prima di riuscire ad accettare che la IndyCar non dovrebbe correre a Pocono» ha tuonato su Twitter. «È una relazione tossica tra le due parti e credo sia giunto il momento di considerare una separazione. Sono davvero sollevato di sapere che tutti i piloti coinvolti in quel terribile incidente stiano bene».

Ma è davvero colpa di Pocono? Assolutamente no, ed è un peccato che Wickens non abbia capito la situazione in cui lui è finito e la casualità dell’incidente di domenica. Pensiamo al terribile botto di Mikhail Aleshin a Fontana nel 2014 che costrinse il russo a un lungo stop; a Mike Conway a Indianapolis nel 2010; a Scott Dixon sempre a Indy nel 2017; a quello mortale di Dan Wheldon a Las Vegas nel 2011. La lista potrebbe continuare, ma con la base che, in realtà, Pocono ha visto davvero pochi crash rispetto agli altri ovali. Da sottolineare invece come il Tricky Triangle abbia raggiunto gli standard degli altri catini americani quando, almeno dieci anni fa, era privo di reti e con alberi in bella vista.

Sugli ovali il rischio è sempre alto

La spiegazione sta tutta in una unica parola: ovali. Correre su un tracciato stradale è completamente diverso da farlo spediti a oltre 300 km/h per un centinaio di giri. Molto più difficile gareggiare nel secondo caso e molto più facile incombere in incidenti. Quello che è successo a Wickens poteva capitare anche a Indianapolis, così come l’incidente di domenica – e non citiamo Dario Franchitti, la cui carriera finì nelle reti di Toronto, un cittadino! Forse è qualcos’altro che manca: la presenza di più ovali nel calendario della IndyCar che, purtroppo, subisce il predominio della NASCAR. A livello di sicurezza, si son raggiunti degli standard altissimi anche se esiste un piccolo margine di miglioramento.

Franchitti e altri piloti in difesa di Pocono

Concludiamo proprio con le parole di Franchitti: «Ogni inquadratura racconta storie diverse, e in una posta del genere è difficile stare totalmente in traiettoria per la mancanza di linee che danno al pilota una chiara visuale. Aggiungiamo l’asfalto e i flussi d’aria che disturbano l’auto. Queste corrono affiancate di pochi millimetri. Questo è il mio punto di vista guardando i replay, e capisco che i piloti coinvolti hanno visioni diverse». Allo scozzese si aggiungono Dixon, Power e Simon Pagenaud, che difendono Pocono.

Non uccidiamo lo spettacolo, grazie.

Luca Basso:
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