Piloti in Quarantena | Stefano Comini: “Dopo il coronavirus il motorsport dovrà cambiare”

Le riflessioni di Stefano Comini

Abbiamo sentito Stefano Comini, già due volte campione TCR International, che ci parla della sua quarantena e ci offre le sue riflessioni sul motorsport
Piloti in Quarantena | Stefano Comini: “Dopo il coronavirus il motorsport dovrà cambiare”

Riapriamo il consueto spazio dedicato alla vita dei piloti in tempi di quarantena incontrando Stefano Comini, per due anni consecutivi campione TCR International (stagioni 2015 e 2016) e che abbiamo visto in gara l’ultima volta nel 2018, nella serie del TCR Europe.

Lo svizzero può vantare più di vent’anni di esperienza nel motorsport, oltre ad il fatto che con sé è nata la serie del TCR nel 2015, partecipando anche ai format Italy e Benelux, oltre all’Europe e al trionfale International. Nel suo curriculum diciotto vittorie, trentanove podi e uno status di pilota tra i più amati per il suo essere schietto in maniera adamantina e per il suo modo di leggere le gare, sempre con il cuore gettato oltre l’ostacolo come ha anche dimostrato nella sua (finora) ultima partecipazione alle corse, ovvero al TCR Europe del 2018.

Poi è arrivato un anno di pausa sabbatica, anche per dedicarsi ai suoi progetti assieme al proprio team Race Republic, realtà nata da pochi anni; quando si affronta un personaggio come Stefano Comini è inevitabile andare oltre la superficie degli argomenti ed ecco che in questa intervista la vita in quarantena – ed in generale quello che ha fatto nell’ultimo anno – è solo il prologo di un discorso più ampio sullo stato attuale del motorsport, anche in seguito agli sconvolgimenti pandemici del COVID-19.

Stefano Comini: “Il motorsport deve cambiare”

Ciao Stefano e grazie per l’intervista. Com’è la tua giornata tipo in questi tempi di quarantena?

«La mia giornata tipo la passo pensando a come cambiare la situazione, nel senso di far correre il tempo e riflettere su cosa ci stia portando questa epidemia. Rifletto tanto sul futuro del motorsport, sul futuro della mia azienda e su tutte le opportunità che questo blocco ci possa dare. E cerco anche di essere più social, per cercare di condividere la mia passione per il motorsport anche online».

L’anno scorso ti sei preso un anno sabbatico dalle corse dopo un ventennio di motorsport: ci racconti cosa hai fatto lontano dalle gare? Sappiamo che hai intavolato una serie di progetti con il tuo team, Race Republic, con il quale avete dato vita anche ad una Academy…

«Per più di vent’anni il motorsport è stato la mia vita, il mio mondo: mi svegliavo al mattino che pensavo solo a correre, a vincere ed esisteva solo ed esclusivamente questo. Questa pausa invece mi ha dato la possibilità di osservare da esterno il mio passato, la mia vita, le mie scelte, chi è insomma Stefano Comini. La cosa mi ha portato a capire diverse cose che sono successe a me e al motorsport».

E a quale riflessione sei giunto?

«Penso che il motorsport sia arrivato agli sgoccioli, almeno come lo conoscevamo. Deve cambiare, e cambierà. Il motorsport è comandato troppo dal business, dagli interessi e da tutto quello che circonda questa passione. Le risorse andrebbero razionalizzate, siamo in una emergenza che richiede una conversione del motorsport, in cui possa migliorare e cambiare, prendere ciò che funziona al di fuori ed integrarlo. E riniziare a comunicare un messaggio giusto, cosa che purtroppo è venuta a mancare: perciò al giorno d’oggi dobbiamo trovare delle soluzioni per dare nuova linfa al motorsport. L’elettrico è una di queste soluzioni, così come il sim racing che ha aperto le porte a tutti, ed è un gran vantaggio di questa epidemia.

Perciò se vogliamo trovare un lato positivo, allora diciamo che questo stop ha messo tutti a pensare come fare. Siamo tutti bloccati, i circuiti sono chiusi, noi piloti poi siamo in crisi: una vita abituata a vivere a duecento all’ora e poi ti ritrovi chiuso tra quattro mura, quando invece durante un anno potevi fare anche una trentina di settimane via per circuiti. Perciò noi piloti ne stiamo risentendo tanto. Potrebbero quindi scaturire dei pensieri che vanno al di là di quello che facevamo da piloti. Credo che questa situazione possa quindi portarci del bene».

“Il motorsport dovrebbe fermarsi per il 2020”

Al momento non ci sono certezze sulla ripresa della stagione motorsportiva, per alcune serie a dire il vero mai partita. Si fanno svariate ipotesi (competizioni a porte chiuse, weekend compressi con più appuntamenti, calendari che richiedono qualche sacrificio da parte di alcune gare e così via): a tuo parere il 2020 dei motori sportivi è ormai compromesso o ci sono ancora margini per salvare qualcosa? E in questo caso, non c’è il rischio di falsare i campionati o creare delle forzature?

«Penso che in linea di principio il motorsport si dovrebbe fermare quest’anno e riflettere non tanto a come ricominciare l’anno prossimo, ma ad avere un nuovo inizio. Senza gli stessi problemi, ma con un nuovo concetto alla base di motorsport ed una nuova comunicazione. Ci è stata data questa opportunità, perché tale è, ovvero stopparci e riflettere su come fare».

E come dovrebbe essere rifondato il motorsport secondo te?

«Attualmente il motorsport è “scoppiato”, perché ci sono delle serie che provano ad abbattere i costi e dare dunque la possibilità alla gente di correre. Il problema è che, se pensiamo ad esempio al Touring Car,  nel primo anno del TCR la vettura costava ottantamila euro. Adesso arriva a centotrentamila, ma alla fine quello è il costo, tra virgolette, più irrisorio, perché alla fine è un valore di cui fai un ammortamento. Quello che invece pesa tanto sono i costi fissi che abbiamo, come le gomme troppo onerose e via dicendo; tutta l’elettronica sulle auto e cose così vanno bene ma l’importante è che non vadano ad incidere sul costo principale, perché le trasferte hanno un prezzo ed i livelli si sono alzati troppo: mi riferisco a queste vetture tutte uguali, tutte con il Balance of Performance… è tutto un po’ troppo simile se vogliamo aggiungere.

Siamo arrivati insomma ad un punto in cui la comunicazione del motorsport è solo utilizzata per l’ambito automotive, ed invece dovrebbe essere indirizzata al pubblico. Quindi anche le aziende legate al motorsport  dovrebbero riuscire a comunicare qualcosa di più umano».

La rivoluzione etica del motorsport secondo Comini

Tu proponi insomma una specie di “rivoluzione etica” del motorsport…

«Esatto, che deve partire ovviamente dal prodotto principale che sono le vetture, e qui torniamo al discorso su come possiamo far rinascere il motorsport. La possibilità che abbiamo è quella di convertire ciò che c’è al momento e di renderlo più sostenibile o anche ad impatto zero, perché il problema principale del motorsport è questo: inquina e costa».

Mi stai quindi parlando anche di una responsabilità sociale del motorsport.

«Bravo, perché adesso si discute su quando ripartire o meno, ma qui c’è da fare una riflessione più ampia: ricominciamo quest’anno? Bene, ma non deve essere come prima. Non è quando, ma il come. Con il sim racing si va da questa parte: se ci sono delle aziende che hanno il coraggio di presentare di prodotti o dei concetti nuovi, dei simulatori con software nuovi, questo renderebbe il motorsport più alla portata di tutti».

L’importanza del sim racing secondo Comini

Appunto, i simulatori. Il  TCR Europe ha lanciato la SIM Racing Series, campionato virtuale ufficiale, mentre anche il WTCR sta riscontrando un buon successo con la sua serie disputata con i simulatori. In generale lo sport di pista sembra sfruttare sempre di più l’onda lunga del virtuale: il sim racing è il futuro delle corse, venendo applicato in maniera sempre più complementare alle corse reali, oppure finita l’emergenza tornerà nella propria nicchia?

«Il sim racing dovrebbe essere complementare, magari avendo nello stesso weekend in contemporanea alle gare su pista anche le competizioni su simulatore».

Un’apertura democratica al motorsport, quindi.

«Sì, e questo aiuterebbe anche a far ritornare la gente in pista (anche se adesso è difficile parlarne con il coronavirus). Il motorsport è società, condivisione, e dobbiamo tornare tutti quanti a ciò che ci ha fatto iniziare questa passione. Perché è quello il vero motorsport, lo stare insieme e il condividere una passione».

A proposito di WTCR, negli ultimi tempi hanno dato il proprio addio al campionato in forma ufficiale Alfa Romeo, Audi, Volkswagen e Cupra. Il Mondiale Turismo sta già perdendo il proprio appeal?

«Il TCR non è più in ascesa ma una realtà che ha più di 900 vetture in tutto il mondo. Per quanto riguarda il WTCR, questo non rappresenta il TCR che è un’altra cosa (con bassi costi di gestione), ma adesso siamo arrivati al Touring Car, quello che era già il WTCC e fu rovinato dalla FIA, che ha a sua volta rovinato l’immagine del TCR. Questa serie si sta complicando la vita, e non per i campionati minori: ai massimi livelli è solo immagine e non saprai mai veramente cosa c’è dietro a quella patina».

“Bisogna comunicare emozioni, non prodotti”

Negli ultimi tempi hai ammesso di voler puntare all’ETCR, del quale si fa strada l’ipotesi di un rinvio al 2021: resta sempre un tuo obiettivo?

«Io ho sempre puntato all’ETCR sapendo fosse l’unica opzione nonché soluzione attualmente valida del motorsport, per riuscire a cambiarlo a partire dalla comunicazione. Ed ovviare così al problema più grande che abbiamo quando esercitiamo il nostro sport, ovvero l’inquinamento. Ma anche lì c’è troppo automotive, serve una comunicazione più umana. Il motorsport è condivisione e passione, non è business o pubblicità. Bisogna comunicare emozioni, non prodotti. Ai massimi livelli invece si punta a vendere le auto e basta, dimenticandosi del pilota che è l’anima del motorsport, che deve essere incentrato di più sul fattore umano, il team, le persone e così via. Il prodotto poi si vende da sé se comunichi a livello umano. Questo fatto non lo abbiamo ancora capito: ci vuole un concetto di base più forte del vincere in pista per avere risultati, e poi con questi si vende. I risultati ci vogliono per star bene con sé stessi. Le fondamenta del nostro sport sono le persone (che possono modificare le auto). Si tratta di una disciplina fatta di persone, non di mezzi».

“Sono un corridore più che un pilota”

Il tuo futuro come lo vedi? 

«Io penso che mi dedicherò sempre a ciò che amo, ovvero il motorsport, ed essere me stesso. Sono arrivato ad un punto in cui voglio essere amore [sic]: suona un po’ strano lo so, ma voglio dire che desidero correre con amore di questo sport. Io mi sento un corridore: pilota lo fai, corridore ci sei, anche al di fuori delle gare. Uno stato della mente: non importa passare sotto la bandiera a scacchi, ma è come vivi questo modo di essere. Un pilota si sveglia al mattino con degli obiettivi, un corridore con la passione che lo anima.

Tornando alla situazione attuale, questa pandemia forse è ciò di cui avevamo bisogno. Non equivocare: è una tragedia, ma dai drammi nascono le opportunità. Mia moglie ha un bellissimo tatuaggio sulla mano che recita “Dal dubbio nasce la sapienza”: il motorsport adesso deve mettersi in dubbio ed arrivare ad una consapevolezza piena di sé, che gli possa permettere di cambiare. Un altro suo tatuaggio dice “Insieme vinceremo”, e questo è il momento dove il motorsport deve lasciare da parte i numeri, i calcoli e tutti i problemi legati ai soldi e stringersi veramente con gli altri appassionati per trovare una soluzione comune ed un obiettivo comune per la rinascita del motorsport. E passare dall’io al noi, abbattendo i costi, non facendoci più concorrenza sleale e far nascere così uno sport più giusto».

 

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